Stai visitando l'archivio per La preparazione dell’artista.

Creatività cercasi.

in Arte e cultura

 

Le cose che pensiamo

“Le cose che pensiamo” (particolare)
Tecnica: olio su tela
Misure: cm 46 x 65

Corro un grosso rischio a parlare di creatività in questo momento storico e, per di più, nella controversa società in cui viviamo. Ovviamente mi riferisco alla nostra bella Italia. Di fatto nel resto del mondo il tema richiederebbe argomentazioni molto differenti. Non è che la creatività sia un argomento di per se pericoloso o nocivo per la società, è che qualcosa di molto strano serpeggia nel sottobosco, non si vede e troppo spesso non fa rumore.
La creatività è un insieme di più ingredienti: un pizzico di dna, un piccolo quantitativo di imprinting, un bel mucchio di studi e tanta, tanta ricerca. Possiamo anche dire che la creatività è un bagaglio personale di conoscenza, esperienza e passione, ma la definizione che voglio dare in questa occasione è: “La creatività è una volontà“. La volontà non è solo la questione di uno che ha voglia di fare o di un’altro che non ha voglia di fare. Lo stato di benessere psico-fisico non determina la mia definizione di volontà, piuttosto si tratta di una forza propulsiva molto potente, che vuole uscire fuori anche se una persona non vuole, non ce la fa, è distratto, è malato o in qualunque condizione si trovi il corpo e la mente.

La creatività è una forza ancora sconosciuta alla scienza e agli studiosi di tutto il mondo, essa permette di muovere tutto. L’Italia grazie alla sua grande storia interculturale, è sempre stata l’apripista e la patria delle novità, un punto di riferimento in tutto il mondo. Basti pensare ai suoi disegni, i suoi progetti, le sue opere letterarie, la sua musica, i suoi punti di vista e la sua grande volontà di inventare cose che, fino al giorno prima, non esistevano in nessuna parte del mondo. Per mettere fuori questa creatività occorre  però una presa di coscienza tale, che l’individuo deve lavorare interiormente per capire come metterla fuori, la famiglia fa la sua parte, la scuola fa anche la sua parte , ma l’io deve attivarsi con grande abnegazione e fatica.

Ad un certo punto qualcosa si è spento. Cosa è successo? Centra la grande depressione? Centrano i mercati finanziari? Centrano i manager? Niente tutto ciò. Si è spenta proprio la volontà o, perlomeno, sta in silenzio, magari chiusa in garage, oppure raccimolata nei piccoli movimenti giovanili. Questa volontà è una forza che è stata messa a tacere dall’intero sistema, falciata anche dall’invidia di chi non ha voluto fare questa fatica. In Italia infatti troppo spesso la gente in gamba lavora nei call-center o fanno i commessi, mentre i dilettanti sono in vista nelle televisioni nazionali e nelle riviste, sono persino esaltati e chiamati artisti o star. Cambia la gloria e cambia lo stipendio.

lim

Lim a scuola

Non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Tuttavia se in una canzone sento il testo che dice:”..io e te per sempre insieme…” qualcuno mi dica perchè nei grandi network nazionali il presentatore dice: “…ecco il più grande artista degli ultimi vent’anni…” e da lì parte lo spettacolo con fumi e raggi laser. Non passa solo l’ignoranza di chi lo dice, ma passa qualcosa di molto più subdolo: la qualità con il segno meno davanti, funziona lo stesso.

Per toppo tempo i creativi italiani sono stati sfruttati, le loro idee rubate, malpagati e messi da parte. I creativi italiani il più delle volte lavorano (se lavorano) dietro le quinte, non li vede nessuno e nessuno sa i loro nomi. Un esempio sono le agenzie pubblicitarie che marchiano i loro prodotti con un nome che non centra niente con il nome del disegnatore, quest’ultimo non esiste per il mondo. Se l’agenzia licenzia un grafico e ne assume un’altro, tutto il merito dei siti web fatti sino a quel momento va all’ultimo arrivato. Può capitare che un nuovo cliente entri in ufficio e gli presentino il grafico che gli da la mano, dicendogli:”Bravo. Complimenti per il lavoro”, che giustizia è? Insomma il creativo non gode ne la paga e ne la gloria. 

Tutto questo a lungo andare ha deteriorato la fiducia dei creativi, cioè quelli che hanno voluto fare fatica per diventare bravi, non solo per il proprio datore di lavoro, ma anche verso l’intera società. Ad un certo punto però, hanno detto basta. Si sono fermati, o si sono nascosti nel sottobosco per non farsi trovare e per non far più arricchire tutti meno che se stessi. All’inizio le aziende e le società non hanno sentito per nulla la mancanza dei creativi perchè vivevano di rendita, davano per scontato che basta fare due segni sul computer per definirsi disegnatori. L’azienda diceva:”Ti formo io” e quindi stage, corsi d’aggiornamento ecc. Come può tutto questo sostituire una preparazione di 15 anni di scuola?. Da lì in poi, fiumi di raccomandati e disegnatori alle prime armi hanno riempito poltrone in cui serviva esperienza e capacità. La discesa è stata inesorabile e la presunzione è crollata come un castello di sabbia.

Alcune società per esempio, hanno inventato i concorsi per valutare i più meritevoli, ma è una lama a doppio taglio per la creatività. L’esempio più calzante è il concorso per creare un marchio. Cos’è un marchio? Quello che non è certamente: un semplice disegno. Il marchio è un’dea, un prodotto creativo. Che cosa c’è di più indifeso di un’idea? Rubarla è facilissimo. Il risultato del concorso qual’è? Il disegno vincente è adatto allo scopo e gli altri migliaia di disegni inviati da altrettanti candidati diventano materiale di libero uso per qualsiasi fine. Ecco un furto della creatività.

Tante aziende e imprese ad ogni livello, oggi riversano in tristi situazioni economiche proprio perchè avevano fortemente sottovalutato l’importanza dei creativi in azienda. Per meglio intenderci, i creativi non sono solo  le figure dei disegnatori e degli artisti, ma anche degli inventori, degli scienziati e dei ricercatori. Tutti parlano ora di fuga di cervelli, ma questa non è solo una constatazione demografica. La creatività degli italiani di oggi trova soddisfazione economica e professionale all’estero, dove si possono raggiungere livelli per ora impensabili in Italia. L’italia che non crede nei giovani è un’Italia che pian piano muore, se invece crede e investe in giovani e anche meno giovani  che possono lavorare insieme la rinascita è assicurata.

Protonuomo

“Alterazione gravitazionale” (particolare)
Collezione “Protouomo”
Tecnica: inchiostro su tavola
Misure: cm 30 x 83

Vorrei essere ancora più pratico. Questa volontà di essere inventori di un nuovo mondo con nuove idee, nuove estetiche e nuove soluzioni, va alimentata e sviluppata con risorse economiche assolutamente prioritarie. Un ricercatore come un grafico pubblicitario hanno necessariamente bisogno di motivazione economica molto forte, lo stipendio deve essere  molto alto poichè il loro lavoro è senza pause. Mi spiego. Un creativo se deve trovare la soluzione per un vaccino o rendere interessante una scatola di pelati anche se lavora le sue ore in laboratorio o in ufficio, in realtà il suo cervello non si ferma mai, anche dopo aver terminato gli orari di lavoro. Le risorse che le loro menti richiedono sono pari al 100%, occorre molta energia per elaborare milioni di informazioni. Tutto accade dentro e fuori gli ambienti lavorativi. Il creativo non ha i pulsanti ON/OFF, lui è sempre ON. Questa energia viene dalla propria volontà di muovere il mondo, di cambiarlo in meglio. Occorre abbassare lo stipendio degli amministratori, dei manager e via dicendo, per favorire lo stipendio dell’anima dell’Italia.

Non mi sto inventando niente, la nostra storia racconta di cose e persone straordinarie, impensabile rimanere in questa situazione, come se non avessimo le risorse. Abbiamo il territorio, l’arte, la cucina, il vino e l’olio. Andiamo a vedere queste persone cosa sanno fare veramente. Dove sono finite le dimostrazioni pratiche e teoriche?. Basta colloqui, curriculum, test psico-attitudinali. Basta periodi di prova, contratti a termine e co.co.co. queste cose hanno fatto troppi danni. Rimettiamo in piedi l’aula magna per le dimostrazioni teorico-pratiche davanti a tutta l’equipe interessata. Proteggiamo le idee dei creativi senza far spendere loro un fiume di soldi per le registrazioni e i copyright. Sponsorizziamo loro la pubblicità in televioni nazionali e internazionali. Diamo visibilità ai loro progetti. All’estero  ci sono iniziative in tal senso avanti anni luce rispetto a noi. Ecco, noi siamo sempre attanagliati alla vecchia guardia che non ci vuole mollare e dare un po’ di respiro. Peccato.

 

Follia o finzione?

in Arte e cultura

autoritrattoNon sono certo io la persona adatta a formulare giudizi estetici di qualunque natura, ma non si possono trascurare alcuni stereotipi, archetipi ideologici e luoghi comuni nell’arte e nella vita in genere. Nella società contemporanea si assistono a comportamenti spesso estremi. Infatti la natura umana è attratta dall’inconsueto, dal confine fra realtà e immaginazione, da quella linea immaginaria che stabilisce differenze fra equilibrio e squilibrio, fra originale e banale, fra follia e ragione. Quanto più ci si avvicina a questo confine, tanto più si esercita un certo fascino sull’uomo. Ce lo insegnano i grandi filosofi e gli intellettuali, ma ci ammiccano anche le trasmissioni televisive dedicate al mistero, molti romanzi dedicati all’ignoto e così via. Anche nell’arte la follia attira ogni sorta di attenzioni. L’artista folle chi è? Probabilmente è colui che essendo arrivato molto vicino alla linea di “confine”, ha carpito nuove forme di comunicazione. L’artista folle si è affacciato, per così dire, al burrone e durante la vertigine vede cose che gli altri non vedono.

È molto difficile raggiungere questa linea di confine e il grande pubblico per questo motivo ne rimane “rapito”.
Mi chiedo oggi difronte a questo modo di essere “genio”, quanto di pertinente e di vero ci sia e quanto di palcoscenico invece venga costruito. Prendiamo un grande esempio: Van Gogh.
La sua follia estrema e autolesionista fa di lui il genio folle che quasi tutti amano, anche io in particolar modo. Non vi è dubbio sull’autenticità della sua follia, però in lui si individuano talvolta i termini di grandezza prima attraverso la sua follia e poi attraverso la sua arte. Se Van Gogh non avesse dipinto nulla, passerebbe ugualmente alla storia? Se invece avesse fatto l’artista e non fosse stato folle, sarebbe passato ugualmente alla storia? Io credo che avrebbe avuto una rilevante notorietà ma non così alta come lo è stata in effetti sino ad oggi. La sua meravigliosa innovazione pittorica, la questione della luce e il tracciato delle pennellate fanno di Van Gogh già un genio, prima ancora di ricoprire il ruolo di folle. Senza follia, la nostra società avrebbe compreso questo grande artista sino in fondo? O sarebbe rimasto un tema culturale per pochi addetti ai lavori?

Probabilmente quella carica di follia dà all’artista una connotazione più popolare, ovvero la nostra società si mostra più interessata e da più valore agli artisti quando sono “pazzi”. Il lettore mi perdoni, ma è doveroso un esempio a carattere autobiografico, un giorno un mio caro amico mi presentò un suo parente e gli disse che io ero una artista geniale (io non ci credo e mi scuso ancora con il lettore per questa auto-referenza gratuita), il punto però è che questa persona, fra le tante cose, disse che era meravigliato, si aspettava una persona trasandata, piena di colore o scontrosa come tutti i geni della pittura. Potete immaginare la mia espressione, ma questo discorso ignorante ha un retroscena piuttosto significativo.

la_stanzaL’opinione pubblica si è creata lo stereotipo dell’artista pazzo, un binomio imprescindibile e forse inseparabile. L’artista se non è pazzo, o perlomeno stravagante, non è un artista e, dato che gli stereotipi sono duri a morire, ad un certo punto anche all’artista capace e molto bravo, gli viene voglia di indossare una maschera di “finto pazzo” per acquisire punti in graduatoria. Come fa? In molti modi. Comincia a fare discorsi strampalati, si interessa all’esoterico, si veste in modo appariscente, diventa alcolista, picchia un cameriere, fonda un gruppo anarchico su Facebook e così via all’infinito. Tutto ciò però rimane solo una maschera, un ruolo, un soggetto che richiede impegno, tempo e macchinazioni cerebrali, facendo trascurare la sostanza.

La capacità dell’uomo di mentire agli altri e a se stesso lo trasforma in cose o persone che non è. Un’ipocrisia senza fine.
Le conseguenze di questa finzione sono notevoli, non tanto per l’incolumità personale o degli altri, quanto per il fatto che l’artista, ormai confuso, non crea più cose interessanti e intellettualmente valide, ma solo segni schizofrenici, pseudo visioni fantastiche e allucinazioni statiche. Secondo la metafora del burrone, è come se l’artista stoltamente crede di affacciarsi al burrone, ma quella maschera non è altro che un ballo isterico che tiene la persona inchiodata in pianura, molto distante dal burrone.

Questo tipo di opere a volte fanno mercato e sono prese d’assalto dai mercanti d’arte e critici di ogni calibro. Si tratta in realtà di un mercato senza valore, una presa in giro per impreparati, solo un commercio che ha come fine unico e ultimo l’investimento.
Voglio comunque puntualizzare che esiste fortunatamente un altro tipo di mercato, ovvero quello che si occupa con serietà di arte nella sua forma più autentica. Non è il mio scopo qui di fare un articolo sul mercato dell’arte.
La mia attenzione è rivolta al carattere dell’artista, si pensi ad esempio ai tanti artisti incompresi che, pur essendo molto capaci, restano nell’ombra perché la propria capacità manageriale è inesistente, oppure mancano le conoscenze giuste in questo o quell’ambiente. Internet per fortuna ha dato un po di respiro con le sue vetrine.
Allora occorre essere per forza “pazzi” per farsi notare? Se si è in tanti come si emerge? Giochiamo tutti a fare i pazzi? Andiamo ai talk show? Paghiamo una emittente televisiva per farci intervistare? Va a finire che se ho molti soldi posso investire e farmi conoscere, altrimenti resto sconosciuto.

In definitiva gli sforzi dell’artista contemporaneo si devono quasi obbligatoriamente incanalare nel marketing di se stessi, è la società che lo chiede.
Come diceva una nota canzone di Vasco Rossi: “…serve un complice…”, ma io aggiungo: un giusto complice, chè è già un’impresa ardua.
______________________________

Le foto dell’articolo, in ordine dall’alto:

  1. Autoritratto con cappello di paglia, 1887, 40,5 X 32,5 cm, Parigi, Amsterdam: Van Gogh Museum.
  2. Vincent Van Gogh, La stanza di Vincent ad Arles (1888), olio su tela, cm 72×90, Amsterdam, Van Gogh Museum.

______________________________